


Milano, Emme Edizioni, 1981, pp. 109, br.
Postfazione di Michele L. Straniero
Anche quest'ultimo è attualmente esaurito.
Una nuova edizione aggiornata è stata poi pubblicata nel 2013 presso l'editore Besa (vedi).
Il termine “ninna nanna” è una formula reduplicativa.
Infatti sia “ninna” sia “nanna” nel linguaggio infantile significano “sonno”.
Il vocabolo è utilizzato nella maggioranza dei dialetti nazionali
Ma bisogna citare almeno la vistosa eccezione del siciliano, che usa invece “a la vò”, “a vò” e simili, la cui etimologia richiamerebbe l’atto del vogare, gesto sostanzialmente simile a quello del cullare.
Esso è utilizzato anche in alcune lingue romanze, come lo spagnolo nana, il portoghese nana-nana.
Altre lingue presentano vistose affinità, in francese ad esempio si usa berceuse, in inglese lullaby e in tedesco Wiegenlied.
Il termine ha certamente valore fonosimbolico, ma è anche inevitabile l’accostamento al latino nenia, che vale “cantilena”, “canto funebre”, o anche “linguaggio magico”
Mentre per definire il canto di culla invece i latini usavano più probabilmente lallum (o lallus).
È da verificare anche una possibile derivazione dall’arabo, che nella variante tunisina ha nänni e in quella egiziana ninne, che in entrambi i casi valgono “dormire”.
La funzione primaria della ninna nanna è ovviamente quella di indurre al sonno il bambino
Questo avviene grazie ad una reiterazione ritmica e melodica che tende ad introdurre un effetto ipnotico, secondo un procedimento che richiama l’antico rito dell’incantamentum.