


ISBN 978-88-6218-109-9.
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L’aspetto che appare evidente nel corso della lettura è lo straordinario contenuto emotivo di queste canzoni.
Al loro interno si muovono personaggi calati in storie d’amore e di guerra, tra sanguinose vendette e dedizioni assolute, impenetrabili boschi e interni di tetri castelli, beffe crudeli e agnizioni improvvise.
La ballata (un tempo la si chiamava “canzone epico-lirica”) è stata finora affrontata in chiave prevalentemente storica, ma in realtà il canto popolare, in particolare quello narrativo che prende spunto da fatti storici, necessita di un inevitabile innesto su formule preesistenti per sopravvivere e tramandarsi nei secoli.
Per alcuni studiosi il canto popolare avrebbe seguito un graduale degrado, a seguito delle radicali trasformazioni avvenute nella nostra società, eppure ancora oggi è possibile effettuare una ricerca sul campo in grado di procurare un’ampia messe di materiali.
Dunque forse è vero che, anche in ambito culturale, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. La presente opera vuole documentare proprio questo.
Introduzione dell'autore
Il termine “ballata” nasce verso la metà del Duecento per indicare un tipo di “canzone a ballo”, la cui origine è popolare, ma che godrà di molta fortuna anche in ambito letterario per alcuni secoli.
Ha scritto in proposito Bruno Pianta:
“I compositori di Broadside (fogli volanti) cominciano a titolare, o sottolineare, i loro brani con A new ballad on... (Una nuova canzone su...).
Nel Settecento i primi raccoglitori chiamavano ballads i canti della tradizione orale che andavano raccogliendo e specialmente i canti narrativi.
Con il Romanticismo il termine inglese diventa definitivamente l’equivalente di “canto narrativo”, e come tale viene tradotto in tedesco (Balladen).
Emigra in America dove assume un doppio significato: da un lato “canto narrativo popolare” (Folk ballad) e dall’altro “canzone di consumo orecchiabile” (Popular ballad).
In quest’ultimo senso entra nella musica leggera contemporanea e nel jazz per indicare un brano lento, orecchiabile e alquanto melenso.
In Italia il termine “ballata” per indicare il “canto narrativo popolare” entra probabilmente per la prima volta con i film western (“La ballata di Jesse James”, “La ballata di Davy Crockett” ecc).
Da qualche anno si è comunemente adottato il termine, riprendendolo appunto dall’inglese, per i canti narrativi di tradizione orale, specie nel filone epico-lirico ”.
In altri paesi si usano differenti denominazioni che incorporano sfumature diverse di significato: romance in Castiglia, cançon in Catalogna, complainte in Francia, vise in Danimarca, bylina in Russia, ecc.
Caratteristiche delle ballate
L’elemento che caratterizza la ballata è l’azione, e si tratta spesso di azione fortemente drammatica, gli altri elementi che concorrono a formare la storia sono in secondo piano: l’ambientazione è casuale, il tema rimane implicito, i caratteri sono spesso standardizzati.
L’aspetto che appare subito con grande evidenza nel corso della lettura, è lo straordinario contenuto emotivo di queste storie.
Esse spesso possiedono un non disprezzabile valore “letterario”, percepibile anche dal lettore colto, che pure non è il destinatario predestinato.
Questi può trarre dalla lettura (o dall’ascolto, diretto o mediato dal disco) corpose emozioni, seguendo affascinanti narrazioni che oscillano tra l’avventuroso, il pietoso e il passionale. Al loro interno si muovono personaggi calati in storie d’amore e di guerra a tinte spesso fosche, tra sanguinose vendette e dedizioni assolute, scuri boschi ed interni di convento, beffe crudeli ed agnizioni improvvise.
I personaggi di queste storie sono spesso re, principi e baroni, ma ad essi sono attribuiti pensieri e comportamenti delle genti del popolo.
Talvolta sulla loro fronte sembra d’intravvedere il sudore del lavoro nei campi, i loro modi sono rustici e la violenza dei sentimenti non è quasi mai mediata dalla ragione o temperata dalla raffinata cultura di corte.
Rimane tuttavia ancora in via di definizione l’ambito formale, culturale e storico entro cui definire il genere, che presenta complessità di forme e contenuti difficilmente riconducibili entro schemi rigidi.
La ballata è contigua, infatti, con il cantare medievale, con parte della letteratura epica e con quella d’appendice, ma questi territori di frontiera, come sempre avviene con i prodotti della tradizione orale, sono separati da impalpabili fili d’aria. Il problema di definire con certezza la ballata all’interno del più vasto corpus dei canti narrativi, è in buona misura ancora insoluto.
Data dunque l’impossibilità di segnare dei limiti certi alla materia, ci sentiamo autorizzati a tracciarne di nostri.
Noi abbiamo scelto di escludere quasi per intero i canti religiosi e agiografici (essi per bellezza e quantità meriterebbero una trattazione a parte) e abbiamo limitato la presenza dei componimenti da cantastorie, ma anche qui abbiamo dovuto fare qualche eccezione;
ad esempio La baronessa di Carini, che abbiamo ritenuto opportuno inserire in base alla constatazione che essa è entrata nel repertorio epico-lirico e perfino, in frammenti, in quello lirico, per finire poi anche in quello della canzone d’autore, attraverso la nota canzone Fenesta ca lucive.
La collocazione geografica
La ballata ha un’area di diffusione molto ampia, comprendente buona parte dell’Europa Occidentale (Isole britanniche, Scandinavia, paesi di lingua tedesca, Francia, Catalogna, Provenza) con importanti propaggini in Castiglia, nei paesi slavi sotto influenza tedesca e con trapianti nei territori d’oltremare di colonizzazione anglosassone e francese (Stati Uniti, Canada, Sud Africa e Australia).
Alcuni di questi testi (è il caso per esempio di Lord Randall, nota in Italia come Il testamento dell’avvelenato) ricorrono in forme molto simili dall’Italia alla Scozia, dalla Svezia alla Catalogna. La loro circolazione sarebbe stata assicurata in epoche precedenti la formazione degli stati moderni da intere generazioni di giullari, cantastorie e clerici vagantes, i quali percorrevano le strade che portavano i pellegrini da ogni parte d’Europa ai luoghi di pietà popolare del tempo, soprattutto Roma, Santiago di Compostella e Gerusalemme.
La trasmigrazione di questi canti in un’area così ampia si spiega certamente con l’apporto di cantori vaganti, ma anche con il continuo muoversi su tutto il territorio europeo di vaste fasce della popolazione. Queste erano spinte a spostarsi dal fatto che, sul declinare dell’epoca feudale, imponenti modificazioni della struttura economica e sociale portarono folle di contadini a fuggire da una schiavitù che li legava alla terra solamente in senso oppressivo.
Insieme con loro si muovevano monaci e mercanti, soldati e pellegrini, giullari e vagabondi, lebbrosi e goliardi e tutti finivano col trasmettersi reciprocamente informazioni e cultura in uno scambio continuo e fecondo.
Il repertorio italiano è fortemente debitore nei confronti della ballata europea in generale e di quella franco-provenzale in particolare, da cui provengono molti dei testi ormai entrati stabilmente nel nostro patrimonio culturale.
È molto probabile che il punto d’ingresso di questi canti sia stato il Piemonte, per ovvie ragioni di vicinanza geografica e linguistica. Questo darebbe ragione del fatto che proprio in questa regione il genere abbia messo le sue radici più profonde. È qui che si è conservato il repertorio più integro ed arcaico e ciò chiarisce perché in questa antologia vi sia una netta prevalenza di testi piemontesi o comunque settentrionali.
Non va taciuto peraltro che vi sono testi la cui diffusione è stata riscontrata quasi esclusivamente in Italia, è il caso della già citata Donna Lombarda , Cecilia, La rondine importuna ecc.
La collocazione storica
A questo proposito bisogna tuttavia premettere l’avvertenza che la divisione in maniera netta tra cultura popolare (ovvero orale) e cultura dotta (o letteraria) è un procedimento che si è svolto molto lentamente.
Per lunghi secoli, infatti, i due mondi sono stati molto più contigui di quanto lo siano ora (momento in cui peraltro la diffusione dei mass-media sta nuovamente rimescolando le carte).
È spesso infatti molto difficile definire l’esatta collocazione di un testo in un ambito piuttosto che in un altro, giacché i contatti nella vita di ogni giorno tra le classi sociali erano molto più frequenti di quanto sia poi avvenuto in seguito.
Vedremo a suo luogo come il canto noto come La pastora e il lupo (n. 69 della raccolta di Costantino Nigra) abbia forti affinità con un testo contenuto nei Carmina burana (risalenti al XIII secolo). La rondine importuna (Nigra 64) ha un’ascendenza quasi altrettanto lontana nel tempo, collocabile tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento.
Di altri casi il lettore troverà notizia leggendo più oltre.
La ricerca delle “origini” della ballata è stata finora affrontata in chiave prevalentemente storica, cercando di volta in volta gli avvenimenti che avessero potuto ispirare l’evento narrativo, per assicurare così in qualche modo uno spunto per la datazione del canto.
Un esempio notissimo in questo senso è riferito a Costantino Nigra che, pubblicando nel 1888 i Canti popolari del Piemonte, tentò di dimostrare che la protagonista della famosa ballata Donna Lombarda fosse in realtà la regina dei Longobardi Rosmunda, vissuta nel VI secolo, cui la tradizione assegna il triste destino di essere stata costretta dal marito Alboino a bere nel cranio del padre.
Ha scritto in proposito A. L. Lloyd: “Anche nelle ballate più fantastiche c’è riflessa una concreta realtà e specifiche convinzioni sociali sono rispecchiate anche nei componimenti apparentemente più leggendari e in quelli di contenuto magico e miracoloso”. Si può dunque dire che “in quanto prodotto della cultura del mondo popolare, la ballata è sempre legata alla realtà materiale dell’esistenza e in questo consiste il suo valore di documento «storico»”.
La realtà sociale, umana e psicologica che emerge da questi canti riconduce a tempi molto lontani, secondo alcuni studiosi all’epoca medievale-feudale, o addirittura a società pre-cristiane, come dimostrerebbe il carattere fortemente magico evidente in moltissime ballate ed affiorante anche sotto travestimenti romanzeschi e realistici. Ma vi è anche chi ritiene che l’ambientazione entro cui si muovono i personaggi sia sicuramente più tarda e che debba essere collocata nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo.
A parer nostro il canto popolare, e in specie quello narrativo, è un organismo in continua evoluzione che può anche nascere in occasione di un determinato avvenimento storico o ispirarsi a fatti di cronaca, ma sempre s’innesta su temi e formule preesistenti.
Esso, quando ha il vigore poetico per sopravvivere e superare i secoli, incorpora via via elementi legati all’attualità, che a loro volta possono rimanere per periodi lunghi oppure essere sostituiti da altri più nuovi. Vi possono essere spostamenti progressivi e molto lenti, oppure improvvise deviazioni dovute all’intervento di spiriti creativi che in maniera più o meno cosciente hanno introdotto modificazioni e reinvenzioni.
“Nessun portatore, anche dopo che il Nigra ha formulato la sua ipotesi, riferisce il canto alla vicenda di Rosmunda.
Ogni portatore è non sciente rispetto al tipo di domanda, o riferisce la vicenda a cose che si dice fossero avvenute nell’ambito delle sue conoscenze familiari, di comunità, di zona o di regione. La vicenda che il canto espone è perciò vissuta come sincrona con la vicenda del portatore. [...]
Tutta la cultura del mondo popolare è ascolastica per definizione: non è, ma diviene. Il sapere scolastico è tradizione, ha bisogno di regole e di certezze; per esso le mutazioni sono improvvisazioni. Nella cultura del mondo popolare ogni versione di un canto o di un fatto vive autonomamente come fatto espressivo, non rappresenta una variante, ma è un fatto culturale autonomo, un valore che si pone ogni volta come tale”.
Si può dunque affermare che per il sorgere e il mantenersi di un canto è necessaria soltanto la contemporaneità ideale e non necessariamente anche quella cronologica. Il cantore popolare attualizza e localizza in luoghi vicini l’ambientazione, succede così che lo stesso avvenimento venga attribuito a più personaggi, mentre, molto più semplicemente, esso ha funzione esemplare.
Ecco dunque che i riferimenti storici e letterari che noi abbiamo inserito in coda ad alcuni dei canti vanno intesi più come suggestioni e stimoli a nuove letture che come accertate fonti storiche dei canti. In realtà i motivi su cui s’innestano i temi eterni dell’amore e della morte, che forniscono la base ad ogni trama letteraria, sono gli stessi da sempre.
Va pure detto che, se è lecito prendere a confronto il lavoro compiuto dai cantastorie contemporanei, bisogna rilevare come questi (salve alcune eccezioni) si ispirino più spesso a fatti di cronaca (in genere nera) i cui protagonisti sono sovente persone comuni di cui difficilmente resterà traccia nelle pagine dei libri di storia.
La ricerca delle radici storiche delle ballate nel nostro paese soffre inoltre della limitazione dovuta al fatto che le prime rilevazioni di canti da noi sono cominciate relativamente tardi, nei primi decenni dell’Ottocento, in ritardo di oltre un secolo rispetto alle più antiche raccolte di altri paesi europei.
Qualcuno ha ipotizzato che la ballata (come ogni altra forma di poesia popolare) abbia negli ultimi tempi rallentato la sua esistenza “fisiologica”, quasi come se qualcosa si fosse inceppato nella sua evoluzione naturale ed essa abbia teso alla cristallizzazione conservativa dovuta in parte alla trascrizione su carta operata dai folkloristi.
Questo fatto, e le radicali modifiche intervenute nella nostra società, avrebbero innestato un processo di graduale degrado dei testi non più vivificati dall’intervento innovativo dei portatori di cultura popolare.
È ben vero che questa preoccupazione ha percorso con sottile angoscia tutta la storia degli studi folklorici e non è raro trovare perfino fra gli studiosi ottocenteschi l’accorato invito ad affrettare le ricerche “prima che sia troppo tardi”.
Eppure da allora le rilevazioni effettuate hanno fruttato una grande messe di materiale interessante e ancora oggi è possibile lavorare proficuamente nella ricerca sul campo.
Forse allora bisogna ritenere che, anche in campo culturale così come in quello biologico, valga l’aurea regola secondo cui nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.