


Questo non è un passo tratto da un articolo delle pagine culturali del Corriere della Sera della primavera 2004, ma un brano tratto da un libello pubblicato anonimo a l’Aia nel lontano 1761.
L’autore è in realtà Louis Bollioud-Mermet, e il titolo De la bibliomanie.
L’editore milanese La Vita Felice lo ha opportunamente ripubblicato con testo a fronte nell’ottobre 2003.
L’esordio di questo volumetto per la verità non si discosta molto dall’eterna geremiade sull’eccessiva proliferazione dei libri, tema cui abbiamo già dedicato un articolo su queste pagine nel giugno 1991, ma il seguito è l’ennesima, feroce critica alla mania di collezionare libri.
Il nostro non va affatto per il sottile, definisce la bibliomania “una sorta di fantasia smodata, una vera e propria malattia con i suoi sintomi peculiari, i suoi eccessi, le sue complicanze, lo stato delirante e i pericoli conseguenti”.
Più avanti ribadisce che si tratta di “una mania curiosa, un cieco desiderio di ostentazione. […] Radunare mucchi di volumi senza necessità e senza discernimento è assurdamente inutile, vanamente superfluo […] denota un’eccessiva propensione al lusso, un amore smodato per lo strano e il meraviglioso, una prodigalità rovinosa”.
Insomma, non è altro che “bizzarria, capriccio, traviamento dello spirito, libertinaggio”.
L’autore intinge abbondantemente la sua penna nel vetriolo, così come hanno fatto molti altri prima di lui e come moltissimi altri faranno in seguito. Ma noi, per non annoiarvi, lasceremo al suo destino la sua prosa pesantemente intrisa di moralismo per soffermarci invece su una acuta ipotesi che Pino di Branco suggerisce nell’introduzione all'edizione moderna.
E si sa, i pentiti, coloro che passano dall’altra parte della barricata, in politica, come nella vita o nello sport, sono spesso i peggiori, ricordate il gol dell’ex?
Tutto ciò ci fa venire in mente una folgorante definizione della pornografia: la pornografia è l’erotismo degli altri.
Infatti gli altri, quelli che hanno meravigliose biblioteche ricolme di libri rari, nuovi o antichi, perfettamente illustrati e con pregiate rilegature, non sono null’altro che perversi bibliomani, mentre noi siamo colti e morigerati bibliofili.
È impressionante la quantità di autori che si sono scagliati contro l’eccessivo numero di libri posseduto da altri.
E se si trattasse di pura e semplice invidia?...
È pur vero che c’è chi conserva i libri intonsi per non diminuirne il valore (privandosi così della possibilità di leggerli, a meno che non possegga la vista ricurva), ma che dire allora dei collezionisti di lattine di birra… piene?
O, peggio, di chi conserva in cantina bottiglie di vino pregiato per decenni, portandole ben oltre i limiti di bevibilità?
O di chi colleziona orologi preziosi tenendoli racchiusi in cofanetti di legno pregiato e condannandoli a segnare sempre la stessa ora in ogni momento della giornata?
Altrettanto fanno coloro che acquistano a peso d’oro quella rara edizione di un libro e si beano del fatto che contiene un certo numero di errori di stampa e di imprecisioni, prova inoppugnabile del fatto che non è quella successiva, corretta e riveduta, ma assai più diffusa.
Eppure questa pesante tagliola moralistica si abbatte pesantemente quasi soltanto sui collezionisti di libri i quali, peraltro, debbono sopportare la solita espressione di sciocco stupore di chiunque sia ammesso nei loro santuari: “Quanti libri, ma li ha letti tutti?”
Nessuno sembra prendere in considerazione poi il fatto che i bibliomani, sia che comprino libri antichi, sia libri nuovi, hanno almeno il merito di dare fiato con i loro forsennati acquisti ad un mercato perennemente asfittico come quello editoriale.
Non fosse altro che per questa ragione, chiedo pietà per questa negletta genìa così pesantemente punita dalla storia e mi permetto di dare all’editore di questa rivista un modesto suggerimento, quello di cambiarne il sottotitolo: da “Rivista trimestrale di bibliofilia” farlo diventare “Rivista trimestrale di bibliofilia e bibliomania”.